Quattro scenari di futuro, riassunti in quattro storie che aiutano a immaginare come potrebbe essere la nostra
vita nel 2050. È l’esito della prima fase del lavoro di ricerca avviato dalla Cooperazione Trentina in collaborazione con Ocse (sede di Trento e divisione di Parigi dedicata all’economia sociale e innovazione), Euricse, Università di Trento (Cattedra Unesco sugli Studi di Futuro del dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale) e Skopia Anticipation Services.
Un lavoro che ha coinvolto, in un percorso partecipativo, una cinquantina di cooperatori e cooperatrici, con storie, ruoli ed età differenti, ma tutti accomunati dalla voglia di contribuire all’individuazione di strumenti e strategie utili a governare il cambiamento in atto trasformando anche gli scenari più ostici e complessi in occasioni di crescita e sviluppo sostenibile per il territorio e le comunità.
«I cambiamenti – ha commentato Jenny Capuano, responsabile dell’Area Formazione e Cultura Cooperativa
della Federazione, presentando il lavoro ai convegni di settore – fanno parte dell’umanità da sempre, ma in
questa epoca sono caratterizzati da una velocità e un impatto globale senza precedenti. Attraverso questo
lavoro di ricerca vogliamo assumere uno sguardo sul presente e proiettarci nel futuro per cogliere quei segnali
e quelle storie che possono aiutarci ad alimentare l’innata capacità di innovazione sociale che da sempre
contraddistingue la storia della cooperazione». L’obiettivo, quindi, è rafforzare il pensiero strategico che permette di anticipare i cambiamenti, di governarli, anziché subirli.
Dall’analisi dei partecipanti, sono emerse due assi di incertezza che, leggendo i segnali del presente,
caratterizzeranno il nostro futuro: disuguaglianza e conflitto vs coesione ed equità, e autoreferenzialità vs
mutualità. Muovendosi lungo queste assi, i gruppi hanno ipotizzato come si modificheranno le diverse dimensioni che compongono la nostra realtà (sociale, economica, politica, ambientale, ecc). Sono nati così quattro scenari di futuro.

Gli scenari
Il lavoro si trasforma in attività di senso e cura, mentre la scuola formale è superata da modelli formativi cooperativi. La tecnologia pervade la vita quotidiana, con controlli diffusi e innovazioni mutualistiche (es. mobilità condivisa, sanità digitale). L’ambiente è segnato da crisi climatiche: le montagne diventano rifugi e la cooperazione rurale si adatta. I giovani protagonisti di un rinascimento cooperativo, attratti da esperienze autentiche e solidali. La cultura della cura e la mutualità rinascono come risposta umana alla crisi del capitalismo.

Radici solidali in un mondo frammentato
Mi chiamo Lara e sono una giovane dottoranda presso l’ente di formazione terziario della Cooperazione Trentina. oggi, nel 2050, difendo la mia tesi di dottorato sulla rinascita della mutualità cooperativa in un’epoca segnata da profonde disuguaglianze, conflitti e trasformazioni sociali.
Ricordo ancora quando, da bambina, sentivo parlare di “Ereditocrazia”: la ricchezza si accumulava in poche mani, creando veri e propri “feudi” di élite economicamente potenti, che hanno fi nito per comprare intere zone del Trentino. Le cooperative di consumo, un tempo diffuse in ogni valle, erano minacciate da fusioni forzate e dalla competizione con il capitale globale, rischiando di perdere il proprio “capitale diffuso” non solo in termini patrimoniali, ma soprattutto di valori. Eppure, alcune di queste cooperative hanno resistito, preservando un pezzo fondamentale dell’identità del nostro territorio.
Ho deciso di dedicare la mia ricerca ai nuovi modelli di mutualità nati come risposta concreta alle ingiustizie e alla solitudine dilagante. In questa situazione, paradossalmente, si cerca di trovare linfa nell’emergere di forme di volontariato retribuito, dove alcuni cooperatori più fortunati mettono a disposizione tempo e risorse per sostenere cooperatori con bisogni. Il sistema sanitario nazionale, ormai incapace di soddisfare i crescenti bisogni di una popolazione fortemente anziana, è affiancato da iniziative mutualistiche di sostegno alle persone non autosufficienti. Le famiglie tradizionali scarseggiano, e sempre più spesso le persone scelgono forme di co-housing o di comunità solidali in alta quota, cercando un rifugio umano e geografi co lontano dalla conflittualità urbana.
Gran parte del mio studio indaga il punto di vista dei giovani cresciuti in un clima di sfiducia, molti dei quali, delusi dagli effetti di un capitalismo predatorio, hanno riscoperto il valore della cooperazione. Nonostante conflitti e disuguaglianze persistano, l’integrazione culturale e la convivenza di modelli diversi restano sfide aperte. Come nel dopoguerra, la ricostruzione richiede fatica, dialogo intergenerazionale e alleanze.

Diario di Léa - 17 settembre 2050, Trentino
Oggi è una di quelle giornate in cui il tempo sembra allinearsi perfettamente con l’anima. Il sole filtra tra gli alberi, le montagne si stagliano limpide all’orizzonte e nell’aria c’è quel silenzio vivo che solo qui ho imparato ad ascoltare davvero. Sono passati sei mesi da quando ho lasciato Singapore per trasferirmi in Trentino, dove vivo una realtà in cui ciò che ho studiato prende forma nel quotidiano.
Quando ho accettato il lavoro alla cooperativa di comunità “Radice Viva”, mi dicevo che era una pausa, un esperimento. Ma ora sento che questa è casa. Una casa costruita su valori veri, tangibili, condivisi. In ogni progetto, in ogni assemblea, in ogni scambio con i soci – che qui non sono mai solo “colleghi” – si respira un senso profondo di interdipendenza, di cura reciproca. È come se ogni azione avesse un’eco collettiva e ogni decisione fosse una scelta di comunità.
Vengo da un mondo dove si correva tanto, sempre, ma spesso senza sapere verso cosa. Qui il tempo ha un altro ritmo, lento ma denso di senso. La cooperativa gestisce un sistema di welfare diffuso: ci occupiamo di servizi alla persona, di accompagnamento all’abitare, di percorsi formativi per i giovani, di cura degli anziani. Ma ciò che più mi ha colpita è come ogni servizio sia pensato non per “aiutare” qualcuno, ma per includere, per tenere insieme.
La parola “solidarietà” qui non è una concessione, è una regola non scritta. Mi sorprende ogni giorno vedere come la diversità sia un valore reale, non un manifesto. Nella nostra cooperativa lavorano giovani, anziani, persone che arrivano da ogni parte del mondo. E il dialogo intergenerazionale… che ricchezza!
Ho imparato molto dai soci di lunga esperienza, arricchendo così le competenze apprese durante il master in “Economia Civile, Progettazione Cooperativa e Cultura della Solidarietà”. oggi, per esempio, abbiamo partecipato a una riunione con la Federazione cooperativa trentina. Loro sono come il tessuto connettivo che tiene insieme tutte le realtà, come le fughe tra le piastrelle, dice sempre il nostro presidente.
Ecco, io lo sento davvero: non sei mai sola. Quando un settore è in difficoltà, un altro lo sostiene. Quando una cooperativa ha un’idea forte, trova strumenti per metterla a terra, grazie a una rete che funziona davvero. In un territorio dove il rischio di chiudersi nel proprio campanile è sempre dietro l’angolo, questa capacità di fare rete tra valli, paesi e comunità diverse è ciò che ci permette di restare vivi, aperti, connessi.
La politica supporta la creazione di questo sistema, promuovendo una governance condivisa che unisce territori e istituzioni sovranazionali e locali in un dialogo costante. E serve, eccome, perché anche qui si sente la pressione di modelli economici globali che fagocitano le piccole realtà: dobbiamo tenere a mente che la nostra forza dipende dall’alleanza tra cooperative, nel far fronte comune contro il rischio di essere schiacciati a logiche che vogliamo tenere lontane.
E poi c’è la bellezza. Quella semplice, quotidiana. Le passeggiate nei boschi condivise con i vicini, il mercato del sabato dove tutto è prodotto a pochi chilometri, i momenti di festa che uniscono la comunità. Non c’è spettacolo più bello del nostro teatro comunitario quando si mette in scena una storia vera, raccolta tra i racconti di quanti la abitano.
La tecnologia qui è discreta, silenziosa, ma potentissima. Ci connette con il mondo, permette di lavorare da remoto, di collaborare con realtà internazionali dove il nostro modello ha ispirato nuove forme cooperative. E in questo equilibrio sottile tra innovazione e radici, credo risieda il segreto di questa terra.
Domani inizieremo un nuovo progetto: un percorso di mentorship tra giovani cooperatori e gli anziani del paese. Ci sarà da ridere, da ascoltare, da imparare. E io, come sempre, porterò con me il mio taccuino, per continuare a scrivere questa storia che profuma di futuro.

Quel che resta del "noi"
Mi chiamo Gabriele. Ho cinquantotto anni e vivo solo. La mia salute è precaria, anche se, a quanto dicono oggi, non sono ancora considerato anziano. La mia casa si affaccia sulla valle del Vanoi, ma anche la vista ha smesso di consolarmi. Una volta, da ragazzo, guardavo il bosco e mi pareva di sentirlo respirare. ora lo vedo sfilacciarsi, morire a poco a poco, aggredito da parassiti che nemmeno l’inverno riesce più a fermare.
Le temperature non scendono quasi mai sottozero e anche i lupi sono tornati. Ma non fanno più paura come un tempo: è il silenzio a fare paura. Un silenzio denso, che ti entra nelle ossa. Chi ha avuto l’opportunità è scappato. Via, verso le città, verso l’estero. Restano solo quelli che non possono permettersi di vivere altrove. Si illudono che fuori da qui si stia meglio, ma non si rendono conto che si stanno consegnando a un sistema che offre molto a pochi e lascia briciole a tutti gli altri. Chi resta lo fa per necessità, per inerzia, o perché, come me, semplicemente non ha alternative.
Quando hanno chiuso la Famiglia Cooperativa, ho capito che era finita. Era l’ultimo pezzo di comunità rimasto. Litigare sugli orari di apertura o sulla qualità delle patate era, paradossalmente, un modo per sentirci parte di qualcosa. Adesso il cibo arriva con i droni, ogni martedì. Pacchi anonimi, tutti uguali. Ma non bastano mai. E se salta una consegna, pazienza. Si stringe la cinghia. Come se non l’avessimo già stretta abbastanza. Ricordo le assemblee della cooperativa. Erano lunghe, accese, a volte sfiancanti. Ma erano nostre. Poi sono arrivati i dirigenti da fuori, mandati dalla Federazione. Gente che parlava un’altra lingua, che ci guardava con sufficienza, come si guarda chi non capisce “come va il mondo”. In pochi anni hanno centralizzato tutto: accorpamenti, ristrutturazioni, ottimizzazioni. Dicevano che era per il bene comune. Ma alla fine, a beneficiarne, sono stati sempre gli stessi: chi controlla i dati, chi ha il potere di indirizzare le decisioni.
Le centrali cooperative sono scomparse, una dopo l’altra. E con loro anche il senso di appartenenza. Del resto, la Provincia ha perso l’Autonomia e con essa la capacità di autogovernarsi. Un tempo era stata proprio quella capacità a permettere al Trentino di crescere, mettendo la cooperazione al centro della comunità. oggi le cooperative rimaste sembrano aziende qualsiasi. Chiuse, autoreferenziali, selezionano i soci come si selezionano i clienti: se porti soldi, sei il benvenuto. Altrimenti, resta fuori. Il principio della porta aperta è morto. Io l’ho visto morire, lentamente, come muoiono le cose quando nessuno se ne prende più cura.
Quando mi sono ammalato, ho capito davvero cosa significa essere soli. Nessuna rete, nessuna mano tesa. Solo moduli da compilare, numeri da chiamare, risposte registrate. L’ambulatorio ha chiuso nel 2042. L’infermiere passa due volte al mese, se le strade lo permettono. Il medico, ormai, è solo uno schermo. Una visita virtuale, se riesci a far funzionare il dispositivo. Io non ci riesco mai. A volte penso che ci trattino come cavie.
In queste valli dimenticate testano i nuovi modelli di welfare digitale, li chiamano “solidarietà algoritmica”.
Ma nessuno ci ha mai chiesto se li volevamo. Li hanno imposti. E noi? Subiamo. L’altro giorno ho sentito parlare di una cooperativa di dati nata in Val di Non. Dicono che raccoglie informazioni sui bisogni sanitari della comunità per fare pressione politica. Mi è sembrata una luce, lontana. Ma poi mi sono chiesto: chi ascolta davvero queste voci? Chi dà credito a chi non ha capitale?
Siamo rimasti in pochi, ma ci teniamo stretti. ogni tanto ci si ritrova a casa di qualcuno. Si porta una bottiglia di grappa fatta in casa, qualcosa da mangiare, e si parla. Non cambiamo il mondo, ma almeno ci ricordiamo che esistiamo. La verità? Non sogno più un cambiamento. Ma sogno che qualcuno, un giorno, legga queste parole e capisca cosa abbiamo perso. La cooperazione non era un marchio, un logo, uno slogan. Era la certezza che, se cadevi, qualcuno ti avrebbe teso la mano. ora, se cadi, nessuno ti vede. Ma io continuo a scrivere. ogni sera. Perché forse, anche questo, è un modo per resistere.
demografica. Le cooperative si concentrano sull’offerta di servizi essenziali (sanità, energia, turismo) e
sul presidio dei territori marginali, ma operano spesso in modo autoreferenziale, con scarsa apertura al
dibattito interno. La mutualità si orienta sempre più verso l’esterno (verso turisti e nuovi residenti), mentre
si indebolisce quella interna. La tecnologia supplisce alla carenza di manodopera, con un forte impatto su produttività e servizi. I giovani conoscono il mondo cooperativo grazie a una comunicazione capillare, ma spesso lo vivono più come “offerta di servizi” che come “esperienza comunitaria”. L’attrattività della montagna e la qualità del territorio diventano leve di sviluppo. La cooperazione si apre ai nuovi bisogni, ma rischia isolamento se non supera la frammentazione valoriale. Resta forte il potenziale di sviluppo sostenibile e di rigenerazione locale, se guidato con visione.

Cronache da un Trentino che (r)esiste
Sono nato ad Arco nel 2004. Quando ero ragazzino, il Trentino era un mosaico di comunità, ciascuna con la propria identità, ma unite sotto l’ombrello di una cooperazione forte e compatta. oggi, nel 2050, vivo ancora qui, nella busa, una delle aree più urbanizzate della provincia. Ma quel mosaico si è frantumato,
prendendo forme nuove e spesso contrastanti.
Faccio parte di un’associazione culturale che lavora tra Arco e Riva per custodire le storie locali e creare spazi di incontro. Non siamo una cooperativa, ma spesso
collaboriamo con esse, o almeno ci proviamo. Perché, se un tempo il mondo cooperativo era un sistema organico e sinergico, oggi ciascuna cooperativa sembra
camminare per conto suo, con la propria missione, il proprio linguaggio, la propria interpretazione del “bene comune”.
L’autoreferenzialità, in certi casi estrema, crea barriere invisibili che ci impediscono spesso di collaborare in modo efficace. Eppure, il territorio ha effettivamente ritrovato una nuova centralità: grazie alle fusioni tra comuni, molte comunità locali gestiscono meglio i beni comuni, evitando competizioni inutili. Tuttavia, il welfare trentino, forte sulla carta, delega sempre più spesso alle cooperative ruoli complementari. Uno dei contrasti più evidenti lo si nota sulla montagna.
La cultura urbana ha prevalso nettamente, eppure da qualche anno vediamo tentativi di ripopolamento spontaneo, spesso legato a persone provenienti dall’esterno, alla ricerca di un’alternativa alla vita in città. È un equilibrio fragile: piccoli laboratori artigianali, microcentrali idroelettriche autogestite, apicoltura diffusa e produzioni locali cercano di radicarsi, ma restano spesso attività di nicchia, ancora lontane da un reale ripopolamento.
La montagna è ancora più una cartolina che una comunità viva, un luogo da visitare più che da abitare stabilmente. Fin dai primi anni di scuola viene insegnato
il valore della comunità. Eppure, una volta cresciuti, ci scontriamo con interpretazioni completamente diverse: c’è chi vede la cooperazione come startup
sociale, chi la tratta come gestione familiare allargata, chi invece la trasforma in azienda turistica brandizzata “TrentinoSostenibile”.
Di mutualità vera, però, quella concreta e quotidiana, ce n’è sempre meno, anche se il sistema del credito, supporta lo sviluppo sostenibile della società, mediante le Fondazioni e le pro loco, trasformate oggi in cooperative, garantiscono il presidio culturale. La tecnologia ci aiuta, ma ha anche effetti ambivalenti: rende più effi cienti, ma può isolare le comunità e non sostituisce la fi ducia reciproca tra le persone. Ci sono poi rischi di concorrenza e di sovrapposizione: penso al monopolio nella gestione idroelettrica, ai comuni e agli
enti territoriali che, in certi casi, entrano direttamente in competizione con le cooperative.
Nel mio piccolo mondo associativo, lontano dalle logiche di grandi budget e strategie commerciali, vedo ancora qualcosa di prezioso: una chiarezza nei valori.
Accoglienza, partecipazione, orizzontalità. Collaboriamo con associazioni del Terzo Settore e piccoli gruppi di quartiere, tenendo vivo un tessuto umano che, seppur fragile, continua a generare senso. Nonostante tutto, continuo a credere nella possibilità di superare questa autoreferenzialità che ci sta impoverendo. Continuo a raccontare queste storie, a camminare tra valli e fondovalle, cercando di tenere insieme i fi li sparsi di una terra che, anche quando appare disgregata e confusa, continua comunque a cucire meraviglie.